Latte guasto di Valentina Santini

9 maggio 1969. Viola ha undici anni e d'un tratto smette di parlare. Nessuno, nella sua famiglia o nel borgo di Quattrostrade, riesce a spiegarsi perché. Cosa è accaduto alla bambina? In breve, per la piccola comunità, la diagnosi è semplice: Viola è impazzita, le manca un venerdì. Anche sua madre se ne convince a poco a poco. Per Viola diventa una trappola e insieme un'opportunità, non si sottrae a quel verdetto. In realtà custodisce un segreto, e se parlasse le conseguenze sarebbero devastanti. Negli anni, però, le parole diventano un'altra cosa: maschere inaffidabili, come le persone che le pronunciano. Viola cresce e sperimenta le relazioni e il mondo attraverso il corpo. Lo sguardo e l'ascolto, senza l'interferenza della parola, la portano in una dimensione solo sua e lei impara a intuire la verità nei silenzi. Viola assaggia, tocca, ascolta e si lascia invadere, nel disperato tentativo che qualcuno, nonostante tutto, riconosca la sua voce.
Recensione
Latte guasto di Valentina Santini è un romanzo fatto di assenze dove la principale, ovvero la voce, diventa un elemento fondamentale solo nel momento in cui la protagonista sceglie il silenzio come difesa e la scrittura (per assurdo) come strumento per contenere quel disagio nei confronti delle parole.
All'inizio la perdita della parola da parte di Viola è una scelta obbligata che concretizza il silenzio come trappola dalla quale, poco alla volta, riuscirà ad uscire guardando quello che era accaduto come ad un modo per disciplinare la realtà circostante, a contatto con cause più importanti che insegneranno il valore delle parole, la loro pericolosità, per conquistare una sua identità attraverso la scrittura.
Una presa di coscienza per difendere il suo silenzio attraverso una scrittura che evolve parallelamente alla crescita della protagonista, passando da frammentaria a più consapevole, diventando sempre più diffidente nei riguardi delle persone e conservando quella morbosità nei riguardi delle parole.
Consapevolmente Valentina Santini decide stilisticamente di limitare la complessità di linguaggio costruendo per Viola un modo di esprimersi più semplice ma senza dubbio più diretto ed efficace per il lettore, mantenendo la forza di una voce che grida in silenzio il suo dolore amplificando la sua estensione rivendicando ascolto e comprensione verso un mondo ostile.
Con una scrittura "ruvida" l'autrice non si risparmia anche nei contesti più contraddittori, allontanandosi dal pietismo per mettere in crisi chi legge che si ritrova disorientato e costretto a trovare una personale chiave di lettura di fronte a tematiche forti come violenza ed infanzia spezzata.
Nel romanzo l'autrice è molto brava nel valorizzare gli intrecci relazionali della protagonista, non solo quello con la madre, da cui si sentiva allontanata, ma anche con Paolo che rappresentava per lei il modo di entrare in contatto con il mondo, dopo aver accettato il modo con cui la sua "diversità" la rendeva vulnerabile agli occhi degli altri.
Di fronte a domande senza risposta, silenzi e ferite invisibili la capacità di resilienza della protagonista emergerà per restituire voce a quel silenzio attraverso anche alla capacità stilistica di Valentina Santini ( a cui vanno i miei complimenti più sinceri ) che costruisce una storia su misteri narrativi che vincolano l'interesse del lettore anche sulla "scomposizione" passionale della scrittura.

Valentina Santini
Nasce nel 1983 nella Maremma grossetana. È laureata in Psicologia. Collabora come editor e copywriter con alcune realtà editoriali. Molti dei suoi racconti sono usciti in raccolte e per riviste online. È cosceneggiatrice della serie tv interattiva Il confine di Moebius. Nel 2022 ha pubblicato per Edizioni e/o il romanzo L'osso del cuore. Scrive per il cinema.
