Penultime parole di Cristò

29.09.2025

C'era una casa sulla collina al limitare di un piccolo paese nell'entroterra, una famiglia di cinque persone a dividersi le tre stanze, le sei sedie, i due specchi e i tanti libri ordinati sulle mensole. Ma, adesso, per le due vecchie sorelle rimaste sole ad abitarla quel tempo è un repertorio di immagini sfocate, lontane. Anche il presente sembra rarefarsi e, con esso, i rapporti sociali. Perso ogni contatto con gli abitanti del paese a fondovalle, presto rinunciano persino alle parole che iniziano progressivamente a eliminare, arrivando a seppellire le centinaia di libri per "fare spazio al silenzio" che occupa la casa. Persino i ricordi sembrano appartenere a un passato a cui è difficile credere. Mentre la morte, come per dimenticanza, risparmia la casa, Teresa, quasi ultracentenaria, inaugura una vita simbiotica con le piante che coltiva, trasformandole in confidenti, compagne. Le luci nel paese a fondovalle sono sempre meno, gli ululati dei lupi dai boschi attorno sempre più vicini, finché un giorno Teresa prende una decisione impossibile. Tra Ágota Kristóf e Tommaso Landolfi, Cristò, autore di libri di culto come La carne e La meravigliosa lampada di Paolo Lunare, torna con un romanzo metaforico ma dalla messinscena concretissima sulla corrispondenza tra essere umano e natura, sul potere del linguaggio e sull'illusione della libertà. 

                                        Recensione

Cristò ha scritto un romanzo che racconta in maniera delicata ma malinconica la fugacità del tempo, incentrandosi sull'importanza della parola e identificando qualsiasi cosa che sopravvive anche al ricordo quando tutto sembra finire.

Una storia dove il silenzio misura il tempo narrativo che all'inizio rimarrà sospeso per restituire quell'idea di morte per poi restare imprigionato da una privazione, che si mostra al lettore in maniera indefinita tra bene e male, in una dimensione domestica diventata angusta che se da una parte restituisce al silenzio la libertà dall'altra vincola attraverso la paura di esistere solo nel presente senza pensare al futuro.

La necessità di fare presto di fronte ad una vita diventata sgraziata si scontra con la voglia di smettere di vivere che si allontana dal concetto di esistere allontanando il passato nei ricordi e nei luoghi cercando di far posto all'illusione di una libertà effimera realizzata con un'azione estrema non costretta ma voluta.

Un linguaggio che incanta con una sonorità capace di sviscerare presenza e assenza, che comunica col silenzio nelle pause narrative necessarie per valorizzare un ritmo tortuoso e non coerente, che non soffoca e che riesce a dosare incanto e disincanto per interrogarsi sul rapporto tra uomo e natura senza giudizio.

Un viaggio onirico dove la realtà collima con la fantasia, dove la scrittura è utilizzata per creare pensieri estetici sulla vita e sulle cose, un racconto che si sviluppa come un processo di civilizzazione al contrario che pone al centro la natura per annullare quell'illusione di libertà prendendo spazio e chiudendo un ciclo vitale che permetterà alla protagonista di rinascere per finalmente poter morire.

Complimenti all'autore per aver scritto un romanzo dalle forme quasi poetiche, costruito su ricordi che prendono vita per misurare il futuro, congelando il presente trasformandosi in speranza e costruendo un gioco mentale dove tutto è possibile ma dove soprattutto si comprende l'assenza di una vera libertà che permetta principalmente di liberare l'uomo da quel suo istinto di sopravvivenza che rende universale una sofferenza legata ai protagonisti.

Cristò vive a Bari. Tra le sue ultime pubblicazioni, Restiamo così quando ve ne andate (2017), La meravigliosa lampada di Paolo Lunare (2019) e Uno su infinito (2021) per TerraRossa, oltre che La carne (Neo, 2020) e L'estate in cui sparirono i cani (Giunti, 2023). 

Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia